martedì 30 novembre 1999


Una storia dei nostri anni. 

I'm Lovin' It

Il sociologo francese Paul Aries lo spiegò nel libro “I figli di McDonald's” , pubblicato prima ancora che il leader dei contadini no global francesi, Josè Bovè, attaccasse il McDonald's di Millau: l'hamburger non è un cibo americano per adolescenti, rappresenta il primo alimento senza cultura e senza età, infatti “la sua cucina non è nazionale e neppure internazionale, ma cosmopolita e si basa sulla negazione di tutte le culture culinarie preesistenti”.
La catena di fast food più grande del mondo ebbe origine da un piccolo ristorante di San Bernardino, sulla mitica Route 66, di proprietà dei due fratelli McDonald's, e dall'intraprendenza di un venditore di frullatori elettrici, Ray Kroc, che nel 1955 divenne agente licenziatario di quel modello di locale e incominciò ad aprirne altri in tutto e per tutto uguali, negli Stati Uniti e nel mondo, con il metodo franchising. Il primo esercizio aprì a Des Plaines, nell'Illinois, il 15 aprile 1955 con il nome McDonald's Speedee Service System: “il suo obiettivo era di servire un pasto completo in meno di un minuto”. Dopo mezzo secolo, sono 29000 i McDonald's in tutto il mondo, di cui 13000 negli Stati Uniti, con un milione e mezzo di dipendenti, che servono 43 milioni di clienti ogni giorno (dati dal sito www.mcdonalds.it).
Con il fast food di Ray Kroc (che nel 1961 rilevò le quote dei fratelli McDonald e acquisì anche l'utilizzo del nome) arriva nell'alimentazione un concetto che prima non esisteva, lo standard, che trae la sua origine dall'industria e non dalla preparazione millenaria dei cibi. In questo modo si asseconda anche un'altra tendenza, quella di un “palato globale”, come lo definisce il sociologo italiano Vanni Codeluppi nel suo saggio “Il potere della marca”, dedicato al marketing aziendale: un gusto unificato a livello mondiale che prima non esisteva. “La struttura binaria (dolce_/salato, crudo/cotto, duro/molle, ecc.) sulla quale si è sempre basata la nostra tradizionale struttura del gusto […] tende sempre più a unificarsi in un'unica sintesi che accontenta tutti i palati”.
Il primo McDonald's italiano (oggi sono 330, sempre meno dei 1000 tedeschi, 880 inglesi e dei 790 francesi) aprì un po' in sordina a Bolzano il 15 ottobre 1985 e chiuse nel 1999 per problemi di affitto. Ma il secondo, a Roma, presentato come il più grande del mondo con i suoi 1200 metri quadri, suscitò polemiche e aspre reazioni tra gli intellettuali italiani, preoccupati più per lo sfregio che la grande “M” avrebbe prodotto sulla facciata di un antico palazzo di piazza di Spagna che per la qualità delle vivande servite. Nel giorno dell'inaugurazione, 20 marzo 1986, passarono dal bancone lungo 30 metri almeno 20000 “paninari”, tra finti mosaici d'epoca romana, cascatelle e sedili in paglia. Scriveva Gianni Riotta sul settimanale l'Espresso (13 aprile 1986), in un articolo dagli Stati Uniti sulla metamorfosi delle città americane dopo l'avvento dei fast food e degli shopping mall: “Gli architetti Paolo Portoghesi e Costantino Trombadori gridano allo scandalo. 'E' una bomba per il centro della città' ha scritto Paolo Portoghesi. L'ex parlamentare comunista Antonello Trombadori ha chiesto che McDonald's sia trasferito altrove, mentre il sociologo Franco Ferrarotti ha messo in guardia da questa ulteriore colonizzazione made in USA”. Aggiungeva il critico Bruno Zevi: “Piazza di Spagna diventerà un immondezzaio qualificato da un vomitevole odore di fritto? Lo scandalo va attribuito alle autorità responsabili dello sfascio di Roma”. L'urbanista concludeva che “la colpa non va ascritta alla catena McDonald's ma alle amministrazioni capitoline” che non avevano saputo creare un piano regolatore adeguato. L'avvento del fast food fu un fatto rilevante, in Italia e in particolare a Roma, dove quel grande locale in piazza di Spagna non poteva passare inosservato. Il Comune esaminò la questione, ma fu il sindaco democristiano di allora, Nicola Signorello, a impedirne la chiusura, imponendo semplicemente di non mettere la grande “M” gialla sulla facciata.
Ma non era soltanto una questione urbanistica. Il fast food coinvolgeva abitudini e costumi, come aveva già intuito la televisione commerciale italiana lanciando Drive In di Antonio Ricci con Enzo Braschi nelle vesti del “paninaro”: fu il programma più innovativo delle reti Fininvest, non a caso legato alla cultura americana del cibo veloce e del cinema da guardare in auto. 


- Slow Food Revolution by Carlo Petrini -


 

 

4 commenti:

utente anonimo ha detto...

Ottima lettura, che però non fa nulla per diminuire il mio odio per quella odiosa catena di fast food!

Meglio cucinare a casa e portarti il cibo in ufficio!!!

Cold

utente anonimo ha detto...

^^ credo che me lo presterai, mi hai incuriosito! Ah, domani ti restituisco "Cent'anni di storie del giappone", la mia libreria sta esplodendo! O___O
Bacio!

*Saretta*

Narese ha detto...

@Sara: E' della biblio, ma rinnovo il prestito e te lo dò. E' simpatico come libro. Puoi anche leggere solo le parti che ti interessano ^^

@Cold: verissimo che è meglio cucinare a casa e portarsi il cibo. Sono sempre di questa filosofia io. Però il Mc ha un a storia interessante e come pochi altri prodotti è riuscito a influenzare negativamente e positivamente la nostra società.

Narese

utente anonimo ha detto...

 Mi sono scervellato, ma devo dire che purtroppo non riesco a vedere alcun lato positivo. Cosa ci hai trovato tu?

Cold